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Lo Dzi è una oggetto simbolico e di straordinario prestigio legato alla tradizione buddhista tibetana . Lo dzi è realizzato usando un pezzo di agata di forma cilindrica o a mezza luna.
Ciò che lo contraddistingue dalle altre agate è il colore, o meglio le striature ed i disegni sulla sua superficie: bianco e nero o marrone e bianco, con all’ esterno una serie di motivi circolari, quadrati, ad onde, ovali o a strisce, naturali o creati dall’artigiano che lo prepara.
Dove sono presenti gli dzi?
- Area himalayana: dal Buthan al Ladakh, sino ad un’altra regione indiana, il Sikkin
- Pakistan ed Afghanistan
- Cina buddhista,
Come venivano usati?
- infilati nei gioielli tradizionali
- ornamento sia di statue sia degli altari all’interno dei templi
A cosa servono gli dzi?
- benessere spirituale
- portatori di equilibrio
- difesa dalle difficoltà
- portatori di buona fortuna, amuleti.
Come sono arrviati a noi?
- come merce di scambio dei monaci in fuga dalla loro terra che speravano di mantenersi vendendo o scambiando i loro dzi.
Perché ogni dzi è unico?
- ogni pietra ha valore distintivo: un significato intrinseco speciale
- ogni pietra è unica
Che particolarità hanno?
L’agata per natura è variegata con striature e venature per questo si presta bene per essere trasformata in uno dzi. Tra le pietre più ricercate ci sono gli dzi con gli occhi (con dei cerchi). A seconda del numero degli occhi variava il potere dello dzi.
- un occhio: correlato al sole, esprime forza interiore.
- due occhi: equilibrio e saggezza.
- Tre occhi: riflessione e fantasia,: sostegno per chi tratta affari.
Ogni disegno aveva un suo significato e per questo l’uso era determinato da esso, nel senso che ogni preciso pezzetto di pietra aveva una sua funzione e scopo, con il conseguente risultato di poter essere utilizzato esclusivamente dalla persona alla quale era stato destinato.
Per questo il loro valore e prezzo ed è ancor oggi, molto elevato, quanto un gioiello prezioso, anche in riferimento all’età della perlina.
Allo stesso modo, anche gli dzi realizzati artigianalmente in passato sono comunque ricercati, risalenti anch’essi a migliaia di anni fa. Pare che la loro origine si riallacci, data la somiglianza, alle perle di cornalina incise che erano adoperate come scambio tra molti paesi dell’Asia, quali la Mesopotamia, l’Afghanistan e nella zona della valle dell’Indo già dal terzo millennio avanti Cristo.
La produzione da parte degli artigiani indiani ed iraniani proseguì ancora per tutto l’anno mille dopo Cristo, impiegando metodi da sempre usati in India, Pakistan e Turkmenistan.
Come mai non siamo in grado di avere tante notizie?
Nonostante gli studiosi abbiano cercato di catalogare e suddividere le differenti tipologie degli dzi, dividendoli per dimensioni e varietà di lavorazione, è tuttavia ignota la precisa origine e datazione.
Questa carenza di notizie è da attribuire anche al fatto che in Tibet, sia le credenze religiose che impedirono la possibilità di compiere scavi archeologici, sia la tradizione di non seppellire i morti, portarono a non poter effettuare delle ricerche scientifiche accertate e quindi attendibili.
In ogni caso, antiche leggende narrano della loro presenza in Tibet in seguito, alla religione pre-buddhista bon.
All’interno della quale probabilmente avevano un significato sacro diffuso in seguito in tutta questa montana regione.
Si racconta che i contadini ed i pastori raccogliessero gli dzi nel terreno, trovandoli mentre coltivavano i campi e nei prati pascolando le greggi; questo portò a credere alla loro provenienza misteriosa e ultraterrena, non ritenendo possibile fossero di fabbricazione umana.
Da qui anche il gran numero di storie e favole mitiche, che come nessun altro oggetto provocarono discussioni e dibattiti ancor oggi non conclusi.
Raramente si potevano trovare integre e complete, per questo la gente pensò fossero oggetti divini, dato che quelle rinvenute erano sempre rovinate.
Il racconto tradizionale vuole che fossero le pietre impure scartate dagli dei e per questo gettate sulla terra.
Lo dzi nella medicina e nella religione.
Nella medicina tradizionale tibetana, i curatori sgretolavano gli dzi per preparare rimedi e medicamenti quali unguenti, come pure diluiti in benefiche bevande curative.
Requisito molto importante per poter goderne l’utilizzo era donare lo dzi,come anche il trovarlo. Questa magica perla non doveva e poteva essere comperata e tanto meno rubata o barattata, altrimenti avrebbe perso tutte le sue virtù.
Gli dzi hanno da sempre un’importanza ed una considerazione così alta che sono uno dei Sette Tesori del buddhismo tibetano: l’asmagarbha o il tesoro della saggezza.
Come si realizzano?
In passato, i disegni di queste pregiate perline erano realizzati artificialmente. Si metteva a bagno la pietra nello zucchero e poi scaldandola in seguito, quest’ultimo caramellandosi mutava di colore la pietra scurendola; al giorno d’oggi, sul mercato si trovano materiali di tutti i tipi proposti e venduti come originali ma sono ovviamente di tutt’altra natura!
In plastica, vetro, resine varie, osso… spesso sono prodotti usando il laser o dipinti con smalti e vernici che penetrando nel materiale di base riprendono i disegni tipici.
Il costo è ovviamente molto distante da quello degli dzi autentici, anche se non è difficile incappare in clamorose imitazioni spacciate per vere.
Si possono trovare sul mercato dzi di recente fabbricazione realizzati sicuramente in vera agata, prodotti sia in Tibet sia in Nepal, India, Birmania e Thailandia; queste nuove perle hanno comunque un aspetto e struttura decorosi, sono fatti anche bene ma la differenza con uno dzi autentico è decisamente evidente.
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